Inno della rivoluzione
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Presto all'armi o fratelli chiamiamo
a compir la tremenda vendetta
questa gente affamata che aspetta
della lotta suprema il segnal.
Dei reietti il vessillo innalziamo
la bandiera color di sangue
ed il popol che soffre e che langue
scenderà ne la pugna mortal.
I borghesi i regnanti ed i preti
con le ciarle bendaronci gli occhi
noi tremanti piegammo i ginocchi
e per loro sgozzammo il fratel.
Ora basta non stiam più queti
sotto il peso di tanta vergogna
non più muti subiamo la gogna
de l'infamia lo scherno crudel.
Ora basta le messi e le terre
i palagi son nostri e le reggie
non vogliamo più essere un greggie
di codardi dannati a soffrir.
Siam milioni la forza siam noi
né mancar ci potrà la vittoria
ove manchi - la forca e la gloria
per i forti che sanno morir.
Su da forti spezziam le catene
che ci avvinsero i polsi tanti anni
sol lo schiavo che teme i tiranni
non è degno d'aver libertà.
Ai borghesi diremo: per voi
di noi stessi ci femmo assassini
del fratello noi fummo i Caini
ma or siam stanchi di tanta viltà.
Da le valli dai monti dal mare
scenda venga la santa canaglia
l'affamato che muor sulla paglia
la venduta donzella e l'artier.
Implacata discenda a spezzare
le barriere di tanti dolori
distruggendo governi e signori
oppressori del corpo e pensier.
Informazioni
Noto anche con il titolo di La Rivolta, viene erroneamente fatto risalire agli anni della rivoluzione russa, tra il 1917 e il 1921; in realtà il testo appare già nel Canzoniere dei Ribelli stampato in lingua italiana a Barre, nel Vermont (senza data ma probabilmente del 1905) dalla tipografia della “Cronaca Sovversiva”, è quindi plausibile una datazione alla fine dell'Ottocento.
Da: S. Catanuto e F. Schirone, Il canto anarchico in Italia nell'Ottocento e nel Novecento, Milano, zeroincondotta, 2009.
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